I diversi significati del termine: diritto
Il termine diritto, nell’accezione di “avere diritto a” si può intendere in tre modi:
1) il diritto legale
2) il diritto naturale
3) il diritto “ad avere”, ovvero il diritto sindacal-marxista
Il diritto legale è quello che viene stabilito dalla legge. Si ha diritto a qualche cosa perché la legge lo stabilisce. Si tratta di un diritto oggettivo, che sta alla base di ogni civiltà.
Non ha significato etico o morale, se non nel senso che è morale o etico obbedire alla legge.
Il diritto naturale nasce invece da una concezione metafisica: l’Uomo sarebbe dotato di diritti naturali, suoi propri in quanto Uomo. Il concetto di diritto naturale sta alla base della concezione liberale dello Stato. Il diritto naturale è antecedente la legge e lo Stato, e legge e Stato lo debbono rispettare.
Il diritto naturale (o, meglio, i diritti naturali) sono tutti diritti di Libertà, cioè diritti di FARE senza esserne impediti o di NON FARE senza essere coartati.
I diritti naturali possono essere compresi tutti in un unico principio: ciascuno è libero di fare, senza esserne impedito da chicchessia, tutto quello che non impedisce un pari diritto del suo simile.
Questi diritti sono diritti reali in quanto
- sono uguali per tutti
- sono sempre esigibili
sono uguali per tutti, in quanto questo è implicito nella loro definizione; sempre esigibili significa che è sempre possibile concederli, in qualsiasi situazione, non dipendendo da beni o ricchezze materiali.
Sono il diritto di pensiero e di opinione, quello di religione, quello di scegliere la propria vita come ci pare (la cosiddetta libera ricerca della Felicità) e di svolgere una libera attività economica.
Il diritto “ad avere” (diritto alla casa, diritto al lavoro, nel senso che qualcuno te lo deve garantire, diritto allo studio, alla salute ecc.) sono i diritti propugnati incessantemente dalle sinistre. Questi diritti nascono da una concezione materialista (marxista) della realtà: in tale concezione il diritto naturale non può esistere, trattandosi di un principio morale, spirituale: e ciò che è solo spirituale, non esiste in materia.
I diritti sono quindi solo cose concrete, pratiche, non dovute in base a principi ideali o morali, ma conquistati con le lotte sociali: i diritti sono diritti di conquista, pari all’antico diritto medievale della spada. Sono l’equivalente moderno del diritto del più forte ovvero del diritto del numero (cui fu diritto il numero, cui fu ragion l’offesa).
Questi diritti dell’AVERE non sono né uguali per tutti, né sempre esigibili.
Infatti, quando una persona rivendica un diritto ad AVERE, c’è sempre qualcun altro che ha il dovere di DARE.
Né sono sempre esigibili, in quanto dipendono dall’effettiva ricchezza disponibile.
Perversi effetti dei diritti ad AVERE.
Non è che questi diritti pratici siano cattivi di per sé, in quanto promettono e distribuiscono cose desiderabili ed anche positive, come la salute, o l’istruzione.
Ma sono diritti legati all’effettiva ricchezza disponibile, e ciò comporta effetti nefasti quando uno Stato, per la demagogia delle sue classi dirigenti, si incammina verso la distribuzione generalizzata di tali pseudodiritti.
Il Liberale, dicevamo, difende i Diritti Naturali, cioè i Diritti del FARE.
Ciascuno può fare tutto quello che vuole purché non danneggi i pari diritti del prossimo suo.
Questi sono diritti veri, perché sempre esigili e concedibili: non costano nulla a nessuno, perché non prevedono nulla oltre alla Libertà.
Lo statalista difende e propugna i diritti dell’AVERE, cioè quelli per cui il cittadino deve avere gratuitamente vari benefici (diritto allo studio, alla casa, al lavoro, alla salute ecc.: basta aver fantasia e la lista si allunga).
Sono tutte cose bellissime, ma non sono diritti, perché sono legati ad un costo: se ci sono i soldi, si danno, altrimenti si aspetta.
Ma la cosa più grave è che non possono essere dati a tutti: per tutti quelli che hanno un diritto ad AVERE, ci sono altri che hanno un dovere di DARE.
Non possono essere quindi considerati Diritti Naturali, propri di ogni uomo in quanto uomo.
I cosiddetti diritti ad AVERE sono quindi cose che dovrebbero essere limitate ai più poveri e derelitti, cui la solidarietà sociale deve comunque provvedere.
Quando invece questi pseudo diritti si estendono, nominalmente a tutti, in pratica solo a qualcuno, lo Stato deve provvedere a drenare soldi e risorse a danno dei cittadini condannati al DARE, per passarli a quelli dell’AVERE.
I diritti dell’AVERE sono di varia natura: quelli concessi dallo Stato (oltre alle varie assistenze sociali, i posti statali dati per combattere la disoccupazione, i prepensionamenti, le gratifiche tipo 80 euro, ecc.) e quelli cui si obbligano i privati (impossibilità di licenziare, per cui se hai assunto uno e lo hai fatto lavorare per un po’ di tempo, poi lo devi mantenere a vita), gli affitti e gli sfratti bloccati, le case private occupate e impossibili da liberare.
Estendendosi i diritti dell’AVERE, lo Stato ha sempre più bisogno di soldi e di risorse, da distribuire ad una platea sempre più numerosa ed esigente, soldi e risorse che deve prima drenare, poi carpire ed infine rapinare ad una sempre più esigua schiera dei condannati al DARE.
I problemi che nascono da questo andazzo sono quelli che dobbiamo affrontare proprio in questi giorni.
Accade infatti che:
1) Esiste necessariamente una soglia sotto la quale si fa parte dell’AVERE, sopra si accede al numero eletto del DARE. Coloro che stanno appena sotto la soglia, non hanno alcun interesse a superarla, mentre quelli appena sopra tendono a passare sotto, per godere dei benefici che questa posizione comporta. Esempi di questo comportamento sono
– il rifiuto di posti di lavoro faticosi, in favore di quelli pubblici
– il rifiuto di effettuare straordinari, per non superare le soglie fiscali;
– lo svolgere attività marginali solamente in nero;
Il numero dei cittadini dell’AVERE tende quindi ad aumentare, mentre quelli del DARE diminuiscono, e ciò comporta la necessità di ulteriori aggravi a carico di questi ultimi (aumento delle tasse).
2) L’aumento del carico fiscale impoverisce l’intero apparato produttivo, con diminuzione delle risorse disponibili, e l’ulteriore necessità di aggravi fiscali. I normali metodi di prelievo diventano sempre più insufficienti, e lo Stato ricorre sempre più a metodi illiberali, togliendo alle persone, altre ai soldi, anche la Libertà. (Noi siamo in pieno a questo stadio)
3) Il numero dei cittadini del DARE tende a questo punto a diminuire per una naturale fuga verso l’alto: prima fuggono i capitali, poi le attività (delocalizzazioni), infine le persone stesse.
Il tentativo dello Stato di bloccare queste fughe si concretizza in leggi sempre più oppressive e terroristiche, il cui effetto incrementa il fenomeno, anziché fermarlo.
Oggi noi siamo arrivati a toccare il terzo livello di fuga (fuga dei cervelli).
Perché, se i risultati sono questi, e sono sotto gli occhi di tutti, non si riesce a sfuggire alle grinfie dello Stato sedicente sociale e che noi chiamiamo dissipatore e rapinatore?
Vi sono tre elementi, che difficilmente si possono eludere.
1) Il numero dei cittadine dell’AVERE è sempre molto maggiore di quello del DARE: questo numero offre molta più possibilità a politici demagoghi e cialtroni (i cosiddetti fuchi di Platone) di aver voti e posti pubblici a danno dei politici onesti che difendano posizioni sempre impopolari.
2) Le persone tendono a credere in ciò in cui sperano: di fronte a chi promette benefici e vantaggi gratuiti, in confronto a chi ti promette solo il diritto di arrangiarti a tirare a campare e di farti ricco con le sole tue mani, il primo ha molte più probabilità di essere creduto.
3) La classe politica fa naturalmente parte dei cittadini dell’AVERE: essa viva del contributo pubblico, che, per di più, decide essa stessa. Questo comporta che anche i politici di centro-destra, talora inconsciamente, talora spudoratamente, spingono e difendono lo Stato distributore e dissipatore, che offre loro le migliori possibilità di vita
Quando uno Stato entra nella spirale perversa dei diritti dell’AVERE, con grande difficoltà, ed a prezzo talora della completa rovina (vedi Paesi ex comunisti) riesce a liberarsene ed a tornare alla gestione liberale, che sola garantisce benessere e libertà per tutti.